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atto quinto 113
dartela volli; ma quand’era il tempo,

ogni mezzo tu stesso a me n’hai tolto.
Agide E che? vuoi tu con le spartane grida?...
Agesis. Sparta invan grida. Il traditor tiranno
sí ben munito ha di soldati il loco,
che nulla or ponno i fidi nostri: indarno
tentan sforzarli; perditor respinti
sono, ed inerti, ed avviliti. Innanzi
io mi spingeva a’ rei soldati in mezzo;
fere voci suonavanmi da tergo,
per me gridando: «Empj, alla madre ardite
tor l’accesso?». Mi vide Anfare allora;
loco fe darmi, e quí son tratta.
Agide   Iniquo!
Te pur fra lacci ei volle. Ahi madre! a quale
rischio inutil per me?...
Agesis.   Rischio? che parli?
Appo il mio figlio, a certa morte io vengo.
Vedine, in prova, il don ch’io reco.
Agide   Un ferro? —
Oh madre vera! — Altro desio, che un ferro,
per salvar Sparta, e me sottrarre al colpo
d’infame man, non accogliea nel petto:
e tu mel rechi? oh gioja! — Or dammi...
Agesis.   Scegli:
due ferri son; quel che tu lasci, è il mio.
Agide Oh cielo!... E vuoi?...
Agesis.   Donna mi estimi, o madre
d’Agide, tu? Pochi mi avanzan gli anni
di vita: Sparta, che invan salva speri,
serva è giá: la tua madre, ov’ella resti,
di Leonida è serva. Or parla; io t’odo:
osi tu dirmi, che a tai patti io viva?
Agide Che posso io dir? son figlio. — O madre, almeno
soffri che primo io pera: ancor che serva,
Sparta estinta non è; quindi ancor salva,


 V. Alfieri, Tragedie - III. 8