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atto secondo 129
Massin. Vivo è Siface? in questo campo?...

Scip.   Il frutto
migliore egli è della vittoria nostra. —
Ma, che fia? Tu ten duoli?...
Massin.   Oh!... che mai... sento!...
Dal mio stupor... Ma... tu, perché mi accogli
in sí freddo contegno?... Entro il tuo petto
che mai rinserri?
Scip.   Ah Massinissa! in petto
tu bensí chiudi, e al tuo fedele amico
tu, sí, nascondi un grande arcano. In volto,
piú che stupor, duolo e furore a prova
ti si pingono: or, donde in te potrebbe
ciò nascer mai, se ostacolo a tue mire
il risorto Siface omai non fosse?
Ah Massinissa! — Io tutto so; mel dice
il tacer tuo: per te null’altro al mondo
io temea. La tua gloria, e in un la mia,
oscurata esser può da colei sola,
ch’ora in campo traesti. In Cirta al fianco
io non ti stava: all’amistá lontana
quindi anteposto hai tu d’amor le fiamme.
Ma pur, di te non io mi dolgo; ah! prova
larga ben or mi dai d’amistá vera,
trar non volendo la tua preda altrove,
che nel mio campo; e nel voler deporre
in cor soltanto al tuo Scipion le fere
tempeste del tuo core.
Massin.   — Inaspettato
mi giunge il viver di Siface. — Io sposa
Sofonisba sperai: promessa fummi,
pria che data a Siface: ei mal la seppe
difender contro all’armi nostre; e nulla
a un vinto re, preso in battaglia, resta.
Pur, benché vinto, è d’alto cor Siface;
a lungo omai, son certo, all’onta sua


 V. Alfieri, Tragedie - III. 9