Pagina:Alfieri, Vittorio – Tragedie, Vol. III, 1947 – BEIC 1728689.djvu/15

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atto primo 9
non senza gloria iva nel campo, or fiacca

sento al ferir la destra. Or, che in periglio,
a dura vita, e da me lungi io veggo
te, David mio, sí spesso; or, piú non parmi
quasi pugnar pel mio signor, pel padre,
per la sposa, pe’ figli: a me tu caro,
piú assai che regno, e padre, e sposa, e figli...
David M’ami, e piú che nol merto: ami te Dio
cosí...
Gion.   Dio giusto, e premiator non tardo
di virtú vera; egli è con te. Tu fosti
da Samuél morente in Rama accolto;
il sacro labro del sovran profeta,
per cui fu re mio padre, assai gran cose
colá di te vaticinava: il tuo
viver m’è sacro, al par che caro. Ah! soli
per te di corte i rei perigli io temo;
non quei del campo: ma, dintorno a queste
regali tende il tradimento alberga
con morte: e morte, Abner la da; la invia
spesso Saulle. Ah! David mio, t’ascondi;
fintanto almen che di guerriera tromba
eccheggi il monte. Oggi, a battaglia stimo
venir fia forza.
David   Opra di prode vuolsi,
quasi insidia, celar? Saúl vedrammi
pria del nemico. Io, da confonder reco,
da ravveder qual piú indurato petto
mai fosse, io reco: e affrontar pria vo’ l’ira
del re, poi quella dei nemici brandi. —
Re, che dirai, s’io, qual tuo servo, piego
a te la fronte? io di tua figlia sposo,
che di non mai commessi falli or chieggo
a te perdono: io difensor tuo prisco,
ch’or nelle fauci di mortal periglio
compagno, scudo, vittima, a te m’offro. —