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152 sofonisba
Ma invano io ’l seppi: in tuo poter tuttora

sta, se il vuoi, di rapirla. Abbiati pure
suo difensor Cartagine; nol vieto:
avronne io ’l danno; io, che l’amico e insieme
la fama perderò. Ma, il ciel, deh! voglia,
che a te maggior poscia non tocchi il danno!
Massin. E Sofonisba istessa,... a favor tuo...
vuol contra me?... Creder nol posso. Or donde?...
Scip. Ella, maggior del suo destino assai,
prova d’amor darti or ben altra intende.
Necessitá fa forza anco ai piú prodi:
al suo gran cor sprone si aggiunge il forte
ultimo esempio di Siface.
Massin.   Or quali
ambigui detti?... Di qual prova parli?
Qual di Siface esemplo?...
Scip.   E che? nol sai?
Giunto è Siface entro sua tenda appena,
qual folgor ratto ecco ei si avventa al brando
del centurion, che a guardia stavvi; in terra
l’elsa ei ne pianta, ed a furor sovr’esso
si precipita tutto...
Massin.   Oh, mille volte
felice lui! dalla esecrabil Roma
cosí sottratto...
Scip.   Spirando, egli impone,
ch’ivi l’ingresso a Sofonisba a forza
vietato venga.
Massin.   Ed ella?... Ahi! ch’io ben veggo
del di lei stato appien l’orror... Ma troppo
dal destin di Siface è lunge il mio.
Vinto ei da te, di propria man si svena:
io, non vinto per anco, esser vo’ spento
da un roman brando, ma col brando in pugno.
Scip. Ah! no; perir tu al par di lor non dei.
Piú che il morire, assai di te piú degno,