Pagina:Alfieri, Vittorio – Tragedie, Vol. III, 1947 – BEIC 1728689.djvu/181

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atto secondo 175
di destrier che correa su l’orme nostre;

volgomi addietro, ed ecco a noi venirne
del tirannico stuolo un uom soletto:
nuda ei la destra innalza; inerme ha il fianco;
tien con la manca un ramoscel d’olivo,
e grida, e accenna: io mi soffermo, ei giunge;
e in umil suon, messo di pace, ei chiede
l’ingresso in Roma. A propor patti e scuse
viene a Bruto, e al senato...
Bruto   Al popol, dici:
che, o nulla è Bruto; o egli è del popol parte.
Ed era il messo?...
Tiberio   Egli è Mamilio: io ’l fea
ben da’ miei custodir fuor della porta;
quindi a saper che far sen debba io venni.
Bruto Giunge in punto costui. Non piú opportuno,
né piú solenne il dí potea mai scerre
per presentarsi de’ tiranni il messo.
Vanne; riedi alla porta, il cerca, e teco
tosto lo adduci. Ei parlerá, se l’osa,
a Roma tutta in faccia: e udrá risposta
degna di Roma, io spero.
Tiberio   A lui men volo.


SCENA TERZA

Bruto, Tito.

Bruto Tu, vanne intanto ai senatori incontro;

fa che nel foro il piú eminente loco
a lor dia seggio. Ecco, giá cresce in folla
la plebe; e assai de’ senator pur veggo;
vanne; affrettati, o Tito.