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atto terzo 245
Qual ch’esser possa il mio dolor, pria voglio

non piú vederti, che cosí vederti. —
E tu, dolce consorte, in pianto muta
ti stai?... Consenti al suo desio?
Cecri   Morirne
fossi almen certa, come (ahi trista!) il sono
di viver sempre in sconsolato pianto!...
Fosse almen vero un dí l’augurio fausto,
che dei cari nepoti ella ne accenna!...
Ma, poiché tale il suo strano pensiero,
pur ch’ella viva, seguasi.
Mirra   La vita,
madre, or mi dai per la seconda volta.
Presta alle nozze io son fra un’ora. Il tempo
vel proverá, s’io v’ami; ancor che lieta
io di lasciarvi appaia. — Or mi ritraggo
a mie stanze, per poco: asciutto affatto
recar vo’ il ciglio all’ara; e al degno sposo
venir gradita con serena fronte.


SCENA TERZA

Ciniro, Cecri.

Cecri Miseri noi! misera figlia!

Ciniro   Eppure,
di vederla ogni giorno piú infelice,
no, non mi basta il core. Invan l’opporci...
Cecri Oh sposo!... io tremo, che ai nostri occhi appena
toltasi, il fero suo dolor la uccida.
Ciniro Ai detti, agli atti, ai guardi, anco ai sospiri,
par che la invasi orribilmente alcuna
sovrumana possanza.
Cecri   ... Ah! ben conosco,
cruda implacabil Venere, le atroci