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atto secondo 23
David sia spento: e ucciderammi tosto

Abner. — Non brando io cingerò né scudo;
nella reggia del mio pieno signore
a me disdice ogni arme, ove non sia
pazíenza, umiltade, amor, preghiere,
ed innocenza. Io deggio, se il vuol Dio,
perir qual figlio tuo, non qual nemico.
Anco il figliuol di quel primiero padre
del popol nostro, in sul gran monte il sangue
era presto a donar; né un motto, o un cenno
fea, che non fosse obbedíenza: in alto
giá l’una man pendea per trucidarlo,
mentre ei del padre l’altra man baciava. —
Diemmi l’esser Saúl; Saúl mel toglie:
per lui s’udia il mio nome, ei lo disperde:
ei mi fea grande, ei mi fa nulla.
Saul   Oh! quale
dagli occhi antichi miei caligin folta
quel dir mi squarcia! Oh qual nel cor mi suona!... —
David, tu prode parli, e prode fosti;
ma, di superbia cieco, osasti poscia
me dispregiar; sovra di me innalzarti;
furar mie laudi, e ti vestir mia luce.
E s’anco io re non t’era, in guerrier nuovo,
spregio conviensi di guerrier canuto?
Tu, magnanimo in tutto, in ciò non l’eri.
Di te cantavan d’Israél le figlie:
«Davidde, il forte, che i suoi mille abbatte;
Saúl, suoi cento». Ah! mi offendesti, o David,
nel piú vivo del cor. Che non dicevi?
«Saúl, ne’ suoi verdi anni, altro che i mille,
le migliaja abbatteva: egli è il guerriero;
ei mi creò».
David   Ben io ’l dicea; ma questi,
che del tuo orecchio giá tenea le chiavi,
dicea piú forte: «Egli è possente troppo