Pagina:Alfieri, Vittorio – Tragedie, Vol. III, 1947 – BEIC 1728689.djvu/365

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di questa tragedia, un qualche dotto e cortese critico è tenuto d’illuminare e convincer l’autore ed il pubblico, coll’individuargliene, chiarirne, e provarne i difetti. Io son certo, che l’autore glie ne saprá molto grado, e glie ne testimonierá gratitudine pubblica: e questa ultima Merope cosí censurata, se ne rimarrá quindi, come le infelici ali d’Icaro, un monumento perenne della stolta baldanza dell’autor suo. Io, come censore, ci vedo anche quá e lá dei difetti, e non pochi; ma li lascio, e in piú gran numero, e con piú sana ed utile critica, rilevare da altri. Mi trovo nondimeno tenuto a svelarne uno, che si va spandendo sul totale di questo poema; ed è, il vedersi chiaramente, che il genere di passione molle materna (prima base di questa tragedia) non è interamente il genere dell’autore.

Le antiche colte nazioni, o sia che fossero piú religiose di noi, o che in paragone dell’altre stimassero maggiormente se stesse, fatto si è, che quei loro soggetti, in cui era mista una forza soprannaturale, esse li reputavano i piú atti a commuovere in teatro. E certamente non si potrá né dire né supporre, che una cittá come Atene, in cui Pirrone, e tanti altri filosofi d’ogni setta e d’ogni opinione pubblicamente insegnavano al popolo, fosse piú credula e meno spregiudicata che niuna delle nostre moderne capitali.

Ma comunque ciò fosse, io benissimo so, che quanto piacevano tali specie di tragedie a quei popoli, altrettanto dispiacciono ai nostri; e massimamente quando il soprannaturale si accatta dalla propria nostra officina. Se ad un cosí fatto pensare non avessi trovato principalmente inclinato il mio secolo, io avrei ritratto dalla Bibbia piú altri soggetti di tragedia, che ottimi da ciò mi pareano. Nessun tema lascia maggior libertá al poeta di innestarvi poesia descrittiva, fantastica, e lirica, senza punto pregiudicare alla drammatica e all’affetto; essendo queste ammissioni o esclusioni una cosa di mera convenzione; poiché tale espressione, che in bocca di un Romano, di un Greco (e piú ancora in bocca di alcuno de’ nostri moderni eroi) gigantesca parrebbe e sforzata, verrá a parer semplice e naturale in bocca di un eroe d’Israéle. Ciò nasce dall’avere noi sempre conosciuti codesti