Pagina:Alfieri, Vittorio – Tragedie, Vol. III, 1947 – BEIC 1728689.djvu/370

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364 parere dell’autore


Leonida, è un re volgare. Un certa mezza pietá mista di maraviglia, ch’egli mostra per Agide dopo averlo incarcerato e successivamente sino al fine, potrá forse non ingiustamente parere una discordanza dal suo proprio carattere. Chi la vorrá scusare, dirá che Leonida, come suocero d’Agide, come padre tenerissimo d’Agizíade, e tenuto ad Agide stesso della propria vita, potea benissimo, nel vederlo vicino a perire, sentire in se alcun contrasto in favor di un oppresso. Chi lo vorrá biasimare, dirá che quello stesso Leonida che nel terz’atto a tradimento imprigiona Agide, che nel quarto lo accusa, e nel quinto lo tragge a morir colla madre, non può sentirne pietá nessuna, e che fuor d’ogni verisimiglianza la finge. Io non ne dirò altro, se non che Leonida è uomo e re volgarissimo.

Agesistrata, è una madre spartana.

Agizíade, come moglie e madre affettuosissima, potrá pure alquanto commuovere: questi due affetti son d’ogni secolo, e d’ogni contrada.

Anfare, è piuttosto un infame ministro di assoluto re, che non un magistrato indipendente in un misto governo. Ma, nella confusione d’ogni cosa in cui giacea Sparta, allora giá corrottissima, e degna omai quasi di avere un assoluto re, io credo che Anfare potesse esser tale.

Questa tragedia potrà forse parere eccellente ad alcuni, mediocre a molti altri, e a taluni pur anche cattiva. Io non vi so scorgere dei difetti importanti di condotta; ma ve li sapranno pur ritrovare quei molti, che giudicandola mediocre o cattiva, dovranno, per essere creduti, assegnarne dimostrativamente il perché.

Un caldissimo amante, costretto di dare egli stesso il veleno all’amata per risparmiarle una morte piú ignominiosa; il contrasto e lo sviluppo dei piú alti sensi di Cartagine e di Roma; ed in fine, la sublimitá dei nomi di Sofonisba, Massinissa, e Scipione; queste cose tutte parrebbero dover somministrare una tragedia di primo ordine. E, per essermi da prima sembrato cosí, mi sono io indotto ad intraprendere questa. Ma, o ne sia sua la colpa, o mia, o di entrambi, ella pure mi riesce, or dopo fatta, una tragedia se non di terz’ordine almen di secondo. S’io m’ingannassi