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46 saul
ed io lá sto, nel tabernacol, dove

stanza ha il gran Dio; lá dove, è giá gran tempo,
piú Saúl non si vede. Il nome io porto
d’Achimeléch.
Saul   Un traditor mi suona
tal nome: or ti ravviso. In punto giungi
al mio cospetto. Or di’, non sei tu quegli,
che all’espulso Davidde asilo davi,
e securtade, e nutrimento, e scampo,
ed armi? E ancor, qual arme! il sacro brando
del Filisteo, che appeso in voto a Dio
stava allo stesso tabernacol, donde
tu lo spiccavi con profana destra.
E tu il cingevi al perfido nemico
del tuo signor, del sol tuo re? — Tu vieni,
fellone, in campo a’ tradimenti or vieni:
qual dubbio v’ha?...
Achim.   Certo, a tradirti io vengo;
poiché vittoria ad implorare io vengo
all’armi tue da Dio, che a te la niega.
Son io, sí, son, quei che benigna mano
a un Davidde prestai. Ma, chi è quel David?
Della figlia del re non egli è sposo?
Non il piú prode infra i campioni suoi?
Non il piú bello, il piú umano, il piú giusto
de’ figli d’Israél? Non egli in guerra,
tua forza, e ardire? entro la reggia, in pace,
non ei, col canto, del tuo cor signore?
Di donzelle l’amor, del popol gioja,
dei nemici terror; tale era quegli,
ch’io scampava. E tu stesso, agli onor primi,
di’, nol tornavi or dianzi? e nol sceglievi
a guidar la battaglia? a ricondurti
vittoria in campo? a disgombrar temenza
della rotta, che in cor ti ha posta Iddio? —
Se danni me, te stesso danni a un tempo.