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94 alceste prima
Ti mostrasti qual t’eri: e a te non figlio

io mi professo. In timidezza, hai vinto
ogni uomo tu; che d’anni carco, e all’orlo
giá del sepolcro, pur morir pel figlio,
né volesti, né osasti. A morte andarne
bensí lasciaste questa estrania donna:
straniera, è ver, di sangue; ma, di affetti
sola mia degna e genitrice e padre.
Eppur di egregia gara avevi palma,
se tu morivi pel tuo figlio. Un breve
avanzo di tua vita ricomprava
la vita intera di costei: né in pianto
i’ mi vivria di tal consorte orbato.
Felice al tutto, quanto altr’uom giammai
vissuto t’eri: Re da’ tuoi primi anni,
me figlio erede del tuo regno avevi;
né, morendo, lasciavi orfana casa
da lacerarsi infra straniere genti.
Né dir potrai, che abbandonato a Morte
mi avessi tu, perch’io spregiare osassi
mai la vecchiezza tua: ch’anzi tu spesso,
e la madre anco, laude a me non lieve
piaceavi dar pel riverente mio
vero amoroso filíal contegno.
A procrearti nuovi figli or dunque
piú non indugia omai: quelli nudrirti
denno in vecchiezza; quelli il morto tuo
corpo adornare e seppellir; non io:
questa mia man non ti dará mai tomba.
Morto io son, quanto a te: che s’io pur miro
la luce ancor, di chi me la serbava
dico esser figlio, e di sua vecchia etade
esser l’amato nutritore. Indarno
vituperando e la vecchiaja e il lungo
tempo del viver loro, i vecchi in detti
braman morir; ma, se Morte si appressa,