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schiarimento del traduttore 177


il sonno e la veglia, che quella venerabile imagine mi articolasse distintamente queste non poche parole, che io quí fedelmente registro:

«Non ti affliggere piú oramai dello smarrito tuo manoscritto. Lo cercheresti tu invano. Espresso volere mio egli è, che tu non lo rivegga mai piú; siccome voler mio parimente è stato, che tu solo per ora ne avessi notizia. Ma, poiché tu hai interamente ed esattissimamente tradotta questa mia Alceste seconda non men che la prima; sará poi pensier mio una volta di fare a suo tempo ricomparire alla luce quel mio testo smarritosi, il quale per essere stato ignoto finora, verrá forse anco tacciato di apocrifo. Intanto, con questi miei ammonimenti paterni io ti voglio risparmiar la vergogna che tu ritrarresti dal volerti spacciare per erudito, non lo essendo tu stato mai. E voglio, che tu per ora, con questa tua seconda Alceste tradotta, abbi ad incontrare piuttosto la taccia d’impostore, quasi che tu da un manoscritto a me falsamente attribuito ricavata l’avessi; e forse anco ti lascierò incontrare la taccia di spergiuro ad Apollo, ove mai tu ne fossi creduto l’autore, contro il tuo espresso giuramento prestato a quel nostro comune Iddio or son ben dieci anni, di non ti calzare mai piú da quel punto in poi il coturno: ogni altro letterario pericolo in somma ti lascierò correre, piuttosto che quello del disertazionare1 senza dottrina. Io dunque ti inibisco assolutamente di appiccicare a niuna di queste due Alcesti né prefazione, né note, né disertazione, né altro; fuorché la semplice narrazione di quanto ti è accaduto intorno a questa seconda: ed anche t’impongo di narrare il fatto in umil prosa, per non gli dare aspetto nessuno di poetica favola».

Al cessare di questi amorevoli accenti, io mi risvegliai stupefatto; e addolorato sí, ma in un rassegnato pienamente ai non dubbj comandi di un tanto Personaggio. Ed ecco il come stan quí queste due traduzioni, l’una all’altra accoppiate, ed a parer mio inseparabili. Rimane con tutto ciò la libertá al leggitore interissima, di accettare o scartare, o l’una o l’altra, od entrambe.

Dí 15 Settembre 1799. In Firenze.


  1. Euripide, avvezzo nella sua divina lingua a formare a suo piacimento delle nuove parole, si è presa anche in questa la licenza di stamparsi il disertazionare; ed io non fo altro che servilmente ripeterla.


 V. Alfieri, Tragedie postume. 12