* dal magnanimo sprezzo avrei ritratta:
* gli espugnati nemici, e il vinto amore,
* ti mostreriano in me, e a tuo dispetto,
* oggi il primo, e il maggior d’ogni Romano.
* La rea cagion, per cui l’ultimo appena
* son fra i mortali, in questo dí funesto,
* veggo innante di me, la soffro, ed anzi
* (o vitupero estremo) ancor l’adoro. —
* Sí, t’amo, e il sai: tel dice il mondo intero,
* e il mio rossor, e il mio perduto onore.
L’odiosa vita ancor dovría donarti;
* ma, se pur l’alma sopravvive a morte,
chi m’assicura, lá fra l’ombre amiche,
che la funesta imago a me non venga,
lacerandomi il sen, toglier la pace?
* E vita, e morte aborro. Ah! tu m’addita
per ultima pietá, qual sia pur quella,
che strappando dal cor l’iniquo affetto,
fin dall’ima radice ancor ne svelga
* l’insoffribile, infausta, aspra memoria.
Cleop. Barbaro, cerchi al tuo furor sollievo?
Amor non è quel che tu senti in petto,
io lo conosco; e ben quel ferro stringi:
ti scopro il sen, ove posasti amante;
tu nol ravvisi, o nol rammenti almeno;
tu l’intrepida mano alzi, e lo vibri...
Il sangue allor, che tu credesti infido,
gorgogliando trascorre; ne son lorde
di giá le vesti, il piè n’è tinto, ed ambe
fuman le mani; quanto fiato allora
resta a Cleopatra, a te volgendo i lumi
pieni d’amor, di morte, accoglie, e spreme
per dirti: addio, t’amai, ma per te moro...
* Ecco, che pasci allor lo sguardo irato
* nell’estinto nemico, e a poco a poco
* il tuo furor scemando, in te rivive