Pagina:Alfieri, Vittorio – Tragedie postume, 1947 – BEIC 1726528.djvu/38

Da Wikisource.
32 antonio e cleopatra
Ma il mondo intero ei debellato aveva,

e di gloriosi, ed immortali allori
adorno il crin, ebbe il diadema a sdegno,
e il rifiutò, come mercé non degna
dell’alma sua maggior d’ogni corona:
era sí grande, e pur morío di morte
empia, nefanda, e di tant’uomo indegna;
ma non fu inulto: e il san la Grecia, e l’Asia,
dalla mia man di tanto sangue intrise,
che il pianto sol non n’irrigò la tomba. —
Le antiche guerre, e le vittorie, e ’l lustro,
le gloriose ferite, e l’etá mia,
tutto, di Roma allor primo mi fea;
eppur io volli esser l’egual di Augusto;
né all’armi alfin ebbe ricorso Antonio,
che quando vide, e certamente il vide,
ch’a te, d’essermi egual, poco parea.
Augus. Non fu l’insana ambizion d’impero,
che contro a te, malgrado mio, mi mosse,
ma bensí i torti replicati, e espressi,
con cui Roma insultasti, Ottavia, e ’l mondo.
Ottavia sí, quell’infelice donna,
che a te fida consorte esser dovea
d’eterna pace un pegno, e iniquamente
da te sprezzata, fu cagion di guerra;
ma innocente cagion: Roma sdegnata
fremé di rabbia, nel vederla espulsa
dai tetti tuoi, come se fella, e iniqua
Ottavia fosse; indi scacciata, al pianto
ognun destò, che la vedea seguita
dai figli tuoi, cui in sí fiero istante
dolce madre mostrossi, e non madrigna.
A tal virtude, ed al paterno affetto
tu insensibile sol, tu sol crudele,
la sposa, e i figli n’obbliavi in seno
d’una turpe mollezza. E questo è poco.