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atto terzo 33
Tu smembravi l’impero a tuo talento,

e le intiere provincie, e i regni interi,
pur troppo è ver, tu ritoglievi a Roma.
Per darli a chi? a una regina imbelle
d’Egitto, ed a’ suoi figli. I regni stessi,
per cui torrenti di Romano sangue
corsero ad innondar l’Affrica, e l’Asia,
l’Europa, e ’l mondo, or degli Egizj prenci
son fatti preda: e di quai prenci ancora!
Di quegli, sí, che l’orgogliosa Roma
disdegnerebbe annoverar fra i servi...
E a ciò pensasti? ah! no: richiami Antonio
la sua grand’alma in se: giudice sia...
Anton. E le intiere provincie, e i regni interi
donai, sí, è ver: men generoso, e grande,
tu di regni, e provincie un dí spogliasti
Lepido inetto, e l’infelice Sesto,
del tradito Pompejo illustre figlio.
Primo, con lor, indi con me rompesti
de’ trattati la fe’ sacra, e giurata;
schernendo in un Antonio, Roma, e i Numi.
Ma tu di ciò non parli, e Ottavia sola
fu la cagion di guerra: e strana in vero,
infra possenti imperator Romani,
cagion di guerra. I torti miei non niego,
che alla sposa mi fer crudele, e infido;
ma involontarj furo. Il mondo ressi,
e m’obbedí: solo il funesto amore,
che con magica possa in me s’infuse,
non ressi, no, non m’obbedí giammai.
Non arrossisco giá nel dir gli errori,
c’ho per amor commesso; e non son vili;
ch’anco illustra gli error l’alma d’Antonio.
Ma il patto iniquo, che d’Ottavia sposo
in Roma femmi, e che annullar dovea
l’ambizíon fra noi, l’invidia, e gli odj,


 V. Alfieri, Tragedie postume. 3