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54 antonio e cleopatra



SCENA QUARTA

Antonio, Cleopatra, Diomede, Ismene.

Anton.   Un ferro è questo,

e ravvisar lo dei, Cleopatra, è tuo;
con micidial, barbara tempra, in oggi,
sul tuo gelido cor di pietra aguzzo,
tu il destinavi a trapassarmi il petto.
Sol t’ingannasti, in affidarlo ad altri,
fuorché a te stessa; era tant’opra, degna
d’un’alma cruda, e bassamente iniqua,
qual’è la tua. Ma la bontá dei Numi,
d’alme simili è coi mortali avara...
Questo ferro, pur troppo, assai mi dice,
e piú di te, li tuoi pensier feroci;
e quanti un dí, fra le spergiure labbra,
sensi d’amor, donna crudel, fingesti,
in questo dí, tutti smentisce il ferro. —
Oh reo pugnal; in te pur troppo io leggo
la perfidia, l’orror di donna infida,
e d’un debole amante il rio destino!
Sí; che l’acerba, e dolorosa istoria,
del mio funesto amor, tutta rintraccio,
ed in note di sangue, in te scolpita;
ma, sia pur quel che miro, orrendo, e crudo,
l’alma d’Antonio a istupidir non basta...
Donna, del tuo furor l’ultima meta
conoscer volli; e di gran tratto avanzi
il mio debol pensier, agli odj inetto:
piú tarda assai la mente mia si mostra
a concepir le iniquítá, le frodi,
che la tua mente audace a porle in opra.
Poiché a tanto giungesti, all’ira stolta,
e all’insano furor d’offeso amante,
ricetto niego; e ognor l’avria negato,