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atto primo 123
giá che risorga in queste afflitte mura

oggi la gioja.
Feréo   E che? pianto esser puote,
dove Adméto risorge?... Oh ciel! che fia?
Tu, che tanto pur l’ami, udendol salvo,
e il fausto avviso a un disperato padre
or tu stessa arrecandone, di morte
tinte hai le guance? e al balenar repente
di un mezzo gaudio in su l’ingenua fronte,
succeder tosto in negro ammanto festi
un torbido silenzio? Ah, parla...
Alces.   I Numi,
l’impreteribil norma loro anch’essi
hanno; e del Fato le tremende leggi
non si attentano infrangere. Non poco
donarti i Numi, or nel donarti Adméto.
Feréo Donna, or piú che i tuoi detti, il guardo e gli atti
raccapricciar mi fanno. E quai fien dunque,
ahi, quali i patti, a lato a cui funesta
dell’adorato Adméto tuo la vita
a noi riesca, ed a te stessa?
Alces.   O padre,
se, col tacerl’io, restarti ignoto
l’atro arcano potesse, ah! nol sapresti,
se non compiuto il sagrificio pria:
ma udirlo, oimè! tu dei purtroppo; or dunque
da me tu l’odi.
Feréo   Entro ogni fibra un fero
brivido giá scorrer mi fai: non sono
io genitor soltanto: affetti molti
squarcianmi a gara il core: egregia nuora,
io piú che figlia t’amo; amo i tuoi figli,
ambo i dolci nepoti, all’avo antico
speme immensa e diletto: e ognor piú sempre
dopo lustri ben dieci in cor mi avvampa
pura ed intera alta amichevol fiamma