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atto primo 127
l’ardir non manchi, l’etá sua capace

non è per anco di spontaneo vero
voler di morte: e se il pur fosse, io madre,
d’unico figlio il soffrirei? Lo stesso
dico vieppiú della minor donzella.
Riman l’antica, e sempre inferma madre;
specchio d’ogni alta matronal virtude;
pronta, (son certa) ove il sapesse, a darsi
vittima a Stige del suo figlio in vece:
ma tu poi, di’, tu che sol vivi in essa,
dimmi, in un col suo vivere non fora
tronco all’istante il tuo? Dunque in te solo,
ecco, che a forza ricadea l’orrendo
scambio, se primo eri ad udir del Nume
la terribil risposta. Onde mia cura
fu di carpirla io prima; io, che straniera
in questa reggia venni, e a me pur largo
concede il Fato, che salvarne io possa
tutti ad un tempo i prezíosi germi.
Feréo Pianger mi fai: di maraviglia immensa
piena m’hai l’alma, e il cuore a brani a brani
mi squarci intanto. Oh ciel!...
Alces.   Pianger, tu il puoi,
sul mio destin; ma tu biasmare, o padre,
l’alto proposto mio, né il puoi, né il dei.
Quanto piú a me costa il morir, piú degna
di redimere Adméto, a Pluto io scendo
tanto gradita piú. Voler del Cielo
quest’era al certo: e di convincerne anco
io stesso Adméto mio, la cura assumo.
Il disperato suo dolor, giá il veggo,
ma affrontarlo non temo. Il Ciel darammi
forza anco a ciò: le mie ragion farogli
con man palpare; e proverogli, spero,
che il conjugal puro suo immenso amore,
s’io ’l possedea, mertavalo. Al Destino