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164 alceste seconda
tu sei, pur troppo: oh rare forme! O voi,

che stima e amore e maraviglia in petto
per la bontá per la beltá nudriste
d’incomparabil donna; o voi, che ad essa
potrete pur sorvivere, voi fate
che intatte al mondo le divine forme
restin di lei; che in tele e in marmi e in bronzi
la eternino gli artefici piú dotti;
sí, che ai remoti posteri l’imago
di virtude cotanta in tal beltade,
viva quasi trapassi.
Eúmelo   Ah, non piú mai
la rivedrem noi dunque?
Adméto   Oh detti! Ah, tosto
dal mio fianco staccate questi miseri
orfani figli: rimirarli omai,
piú nol posso. Deh, Morte, affretta, o Morte,
la tua strage seconda. Alceste è spenta;
e vivo è Adméto?... Un ferro, or chi mel niega?
Un ferro io voglio. Invan voi mi accerchiate;
tentate invan voi di frenarmi.
Feréo   E indarno
tu d’infierir contro te stesso speri.
Troppi siam; tu sei solo, e inerme, il vedi;
te difendiam da te medesmo or noi.
E ucciderai, pria che te stesso, io ’l giuro,
il proprio padre tu.
Adméto   Serbar me dunque
vivo malgrado mio, voi sperereste?
Mille son, mille, del morir le vie;
ma non di furto io tenterolle. Appunto,
voi testimoni appunto or quí m’eleggo
della immutabil mia sentenza estrema. —
Giuro ai celesti Iddii, giuro agl’Inferni,
che omai né cibo alcuno, né una pura
goccia di semplice acqua in guisa niuna