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atto secondo 15
dell’amor mio che fu? parla: Cleopatra

felicemente è giunta a questi lidi?
Oh quanto l’amo ancor! invan nel petto
reprimer vuo’ l’inique fiamme, e rie;
una debol virtú non basta a tanto.
Diom. Colei, che fu d’ogni tuo mal cagione,
or piú di te, prova il destino acerbo.
Sí, piú di te infelice, agli aspri affanni,
ed ai fieri rimorsi, e ai dubbj orrori
in preda ognor, vive li giorni in pianto.
In Egitto ciascun ti crede estinto.
Fuggitivo Canidio a noi ne venne
con poca gente, e sol da lui si seppe
e la tua fuga, e la sconfitta intiera.
Anton. Come Canidio quí? rotta è l’armata,
e fuggitiva? ancor questo mancava
alla somma dei mali: e che? stupisco
della fuga dei miei? allor che il primo
ne diedi il vile esempio? e onor richiedo
* nel cuor d’altrui, allor che il mio n’è privo?
Dovean morir per la mia causa iniqua
quell’alme, assai piú della mia Romane?
Ah! no: serbate a piú gran fin que’ giorni:
se di patria l’amor contro ai tiranni
l’armi vostre non volge a pro di Roma,
per estirparne un dí la schiatta indegna,
pugnando almen per piú glorioso duce,
morite allor, Romani invitti, in campo...
Poiché d’amante, e non d’Antonio il core
in me riserbo: amor mal soffre ancora
* ch’io non rivegga il desiato oggetto,
* per cui l’onor disprezzo: in quali stanze
il suo dolor nasconde? ove s’aggira?
Diom. Talor quí meco trattener si suole:
verrá fra brevi istanti. Eccola appunto.
Ant.            * O tirannico amor, come perverti