Pagina:Alfieri, Vittorio – Tragedie postume, 1947 – BEIC 1726528.djvu/213

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atto secondo 207
Abèle Tu, vi scendevi; io non l’osava.

Caíno   È salva.
Abèle Ma in questa spalla è gravemente offesa;
poverina! e lamentasi...
Caíno   Piú male
hai tu di lei: via, non dolerti, o dolce
Abèle mio: vo’ farle un caldo impiastro
d’erbe e di latte, e l’avrai sana tosto.
Ma poi di viminetti un guinzaglino
ti tesserò, perché tu ben l’affreni.
È petulante troppo: cosí sempre
l’avrai sott’occhio, e meglio l’altre tutte
custodirai, con tuo diletto.
Adamo   O figli,
in voi mi beo: l’udir quei puri accenti,
fraterni tanto, immensa gioja spande
nel mio paterno cuore. O tu, che tanta
del tuo minor fratello cura prendi,
benedetto sii tu! Cosí prendeva
di te, quand’eri fanciullino, io cura.
Nei campi e boschi, il tuo fratello, o Abèle,
è il tuo padre secondo.
Abèle   E tale io ’l tengo:
e il sa ben egli. Ah, se sapessi, o padre,
quanta fatica egli ha per me, per questo
lascivo gregge mio! mi scoppia il core,
d’esser costretto a sturbarlo sí spesso.
Caíno Taci, via: che siam noi se non sol uno?
Tu crescerai; s’imbrunerá il tuo mento;
s’inforzerá il tuo braccio; e allor nel duro
campo a me pur soccorrerai; mentr’altri
fratelli nostri (che assai ne speriamo,
come il padre ci disse) al gregge allora
attenderanno.
Eva   Adamo, ecco allestita
giá la cenetta nostra. Amati figli,