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228 abèle
varcar le limpid’onde, a me tu pari

tosto sei fatto; e lá, s’ella a te piace,
posseditor di questa mia beltade
farti potrò; come pur teco ogni altro
mio ben divider quivi mi fia dato,
che tanti aduna quel beato suolo.
Caíno Ma come mai quell’ottimo mio padre,
che tanto ci ama, un tanto ben potea,
crudel celarci? In core alto contrasto
provar mi fai, col parlar tuo. Mi muove
la tua beltade assai; la lusinghiera
speme di te; quel favellar tuo dolce,
cui non udiva il pari io mai; mi muove,
tutto in te: ma poss’io pur fra gli stenti
dell’incessante affaticarsi ingrato
abbandonare i miei, per trarre io poscia,
io fra delizie in ozio agiata vita?
L’Inv. Ben pensi tu. Servi, su dunque, e pena,
e affaticati, e suda. Altri frattanto
pria di te quivi occuperá il tuo stato.
Caíno Altri? chi mai?
L’Inv.   Cieco ben sei.
Caíno   Ma, forse
rimane lá loco sol uno?
L’Inv.   A un solo
figliuol d’Adamo il varco ivi è concesso:
celato a te, ma non a tutti...
Caíno   Oh quale,
qual gel di nuovo entro mi scorre! orrendo
m’agita un dubbio...
L’Inv.   È manifesta cosa,
non dubbia omai: tuoi pensier tutti io scerno:
Adamo, sí, tutto al suo Abèl svelava,
quanto a te nascondea...
Caíno   Che sento!...