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atto quarto 45
a ricoprir fia d’uopo l’urna breve,

che accoglierá fra poco il cener mio.
Cleop. Ah! che dicesti, Antonio, e qual riserbi
non meno a me, che a te crudel pensiero?
Ah! mio signor, che fai? ripiglia il trono,
e la vita, e l’onor: piú della morte,
questi doni mi sono acerbi, e crudi,
se goderli con te non m’è concesso.
Ch’io sola segga sul funesto soglio,
ch’ambo n’accolse, e ch’or tu avesti a sdegno?
Ch’io viva allor, che a disperata morte
barbaramente il tuo furor ti mena?
Inanimato corpo unqua non visse;
io tal sarei, quando d’Antonio scema.
Ah! non fia mai. A te s’aspetta, Augusto,
l’intera gloria di serbarlo in vita;
sí, malgrado di lui, salvalo, e viva.
Se il mio morir può sol placar l’infido,
in me rivolga la ferocia, e l’ira,
e il mio corpo si strazi a suo talento;
s’egli viva mi vuol, del mondo scherno,
e al trionfal tuo carro in Roma avvinta,
Antonio viva, e regni,... al carro io volo.
Nulla ti chiesi, Augusto, infin che sola
mi trovai nel periglio: ora lo deggio
ad Antonio, a me stessa, e al mondo tutto
di non aver altro destin, che il suo!
Colla virtú, tu ne confondi entrambi;
alta vendetta, agli alti cuor concessa:
salva Cleopatra, acciò fia salvo Antonio.
Io, divisa da lui, non ho piú vita;
ei, pur troppo, da me vita riceve.
Tu impietosisci, Augusto: ah! non rivolgi
l’umido ciglio altronde; ah! no, non cela
d’un benefico cuor divini i segni:
solo l’ascolta; è generoso, e grande,