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172 rime varie


Quai mi fan forza al cor magici inganni?
Chi un tal poter sul canto mio si arroga? —
Donna, il cui carme gli animi soggioga,
8 Rimar mi fa, benché tai rime io danni.1
Ma immaginoso pöetar robusto
Pregno di affetti tanti odo da lei
11 Scaturirne improvviso e in un venusto,2
Ch’io di splendida palma or mi terrei3
Pe’ suoi versi impensati andarne onusto,
14 Piú ch’io mai speri dai pensati miei.


CLXXI.4

Ad un improvvisatore.

«Quanto divina sia la lingua nostra»5
Ch’estemporanei metri e rime accozza6
Ben ampiamente ai barbari il dimostra
4 Piú d’una Etrusca improvvisante strozza.
Nasce appena il pensiero, e già s’innostra7
Di poetico stil: né mai vien mozza
La voce, o dubitevole si prostra,8
8 Né mai l’uscente rima ella ringozza.9


  1. 8. Benché io sia, per massima, contrario (e aveva ragione e dice il perché nel sonetto seguente) alla poesia estemporanea.
  2. 9-11. Quell’anonimo ammiratore della Bandettini scriveva nella medesima lettera sopra citata: «Questa è la piú grande improvvisatrice che io abbia sentito, anche piú del Gianni: ha la vivacità di fantasia com’esso; ha una locuzione, una frase cosí poetica che il suo linguaggio è quello dei Classici; maggior economia d’esso nelle immagini, giacché tu sai che egli era troppo ardito, maggior proprietà nell’epitetare, nel qual genere m’ha sorpreso, giacché tu sai che gl’improvvisatori prendono ordinariamente quello che si presenta, ed essa pare che scelga sempre il piú proprio, il piú conveniente, il piú vero nel soggetto».
  3. 12. Mi terrei, crederei, reputerei.
  4. Qui, mi pare che l’A. esprima veramente tutto il suo pensiero intorno a quell’arte istrionica, oggi, per fortuna, estinta, o quasi, dell’improvvisare; il poeta estemporaneo, suscitatore dell’ira alfieriana, è, come si rileva dal ms., Francesco Gianni, nato a Roma verso il 1760, bustaio dapprima, poi, per aver letto l’Ariosto, invaghitosi della poesia e cantore delle gesta di Napoleone, che gli volle bene e lo chiamò a Parigi, dove morí nel 1822. Anche il Gianni fu, come Amarillide Etrusca, famosissimo ai suoi dí e oggi, direbbe Dante, appena sen pispiglia.

    Questo sonetto fu composto il 5 gennaio 1795.

  5. 1. Alterazione del noto verso di Dante (Purg., VII, 17):
    Mostrò ciò che potea la lingua nostra.
  6. 2. Accozza, mette insieme alla meglio o alla peggio.
  7. 5. S’innostra, si veste, si adorna; e già lo trovammo altrove.
  8. 7. La voce non esita mai, nel dubbio che la parola non risponda adeguatamente al pensiero.
  9. 8. Ringozza, rimangia, ricaccia nella gola.