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di vittorio alfieri 237


Di caldo sangue rosseggianti strisce1
Svelano invan dell’assassino l’orme:
144 Sacro Portier seguirle ti inibisce.
D’impuniti misfatti orride torme
Tutto annerano il ciel di Roma pia,
147 Dove sol Prepotenza illesa dorme.
D’ogni Grande il palazzo è Sagrestia:2
L’omicida securo ivi si asconde,
150 Finché innocente giudicato ei sia.
Se il proteggono i Grandi, ei n’han ben donde:3
Assassini essi pur, ma di veleno,
153 Dritto è che stuol di Pari4 li circonde.
Mostruosa cosí, qual piú qual meno,
Ogni gente d’Italia usi raccozza
156 Fero-vigliacchi entro al divoto5 seno.
Se parli, o scrivi, o pensi, ella ti strozza:6
Ma, quanti vuoi veri delitti eleggi,
159 Benignamente tutti ella li ingozza. —
Non si maritan, no, Servaggio e Leggi.7


  1. 142. Similmente il Parini (Mattino, 1083):
    ... il suol di lunga striscia,
    Spettacol miserabile!, segnaro.
  2. 148. Non solamente le chiese sono luoghi d’impunità, ma il palazzo di ogni nobile è inviolato asilo a chi siasi macchiato di qualche delitto.
  3. 151. I Grandi hanno ben ragione di proteggere gli assassini: sono assassini essi pure. Il Manzoni, di Don Rodrigo e del Griso (P. S., VII): «Dopo aver ammazzato uno, di giorno, in piazza, [il Griso] era andato a implorar la protezione di Don Rodrigo; e questo vestendolo della sua livrea, l’aveva messo al coperto da ogni ricerca della giustizia. Cosí, impegnandosi a ogni delitto che gli venisse comandato, si era assicurata l’impunità del primo. Per Don Rodrigo, l’acquisto non era stato di poca importanza; perché il Griso, oltre all’essere, senza paragone, il piú valente della famiglia, era anche una prova di ciò che il suo padrone aveva potuto attentar felicemente contro le leggi; dimodoché la sua potenza ne veniva ingrandita, nel fatto e nell’opinione».
  4. 153. Di Pari, di rei simili ad essi.
  5. 156. Divoto, uso alle forme esteriori del culto.
  6. 157. Non solo in Italia è giudicato reo di morte chi parla o scrive in senso contrario al presente ordine - o disordine - di cose; ma si punisce senza pietà anche chi osi semplicemente pensare con la propria testa.
  7. 160. «... io domando in qual cosa differisca il governo e autorità di un solo nella tirannide, dal governo e autorità di un solo nella monarchia. Mi si risponde: «Nell’abuso». Io replico: «E chi vi può impedire quest’abuso?» Mi si soggiunge: «Le leggi». Ripiglio: Queste leggi hanno elle forza ed autorità per se stesse, indipendente affatto da quella del principe? Nessuno piú a questa obiezione mi replica. Dunque, all’autorità di un solo, potente ed armato, andando annessa l’autorità di queste pretese leggi (e fossero elle puranche divine) ogni qual volta le leggi e costui non concordano, che faranno le misere, per se stesse impotenti, contro alla potestà assoluta e la forza? Soggiaceranno le leggi; e tutto giorno, in fatti, soggiacciono». (La Tirannide, I, 2°).