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140 vittorio alfieri


Di quant’io dico un bello esempio or danno
Questi tuoi Galli a libertà vicini,
Perchè forse il servir logorat’hanno.
Qui non s’ode altro più, grandi e piccini,
Uomini e donne, militari e abati,
Tutti soloneggiando i Parigini,
Non s’ode altro gridar che «Stati Stati:»
Onde, se avran gli Stati e mente e lena,
Cesserà, pure, il regno dei soldati.
La trista gente onde ogni Corte è piena,
Mormora pure; e fra se stessa spera
Che risaldar potrassi la catena.
Quel che avverrà nol so: ma trista sera
Giunger non puovvi omai, che vie men trista
Della notte non sia che in Francia v’era.1
Io frattanto, cui l’alma non contrista
Nè stolta ambizïon nè avara sete,
Traggo mia vita dolcemente mista
Di gloria e amor presso alle luci liete
Della mia Donna, a cui tu pure hai scritto;
E imparo che l’allòr punge a chi ’l miete:
Ma instancabile sto, tenace, invitto
Nel sublime proposto; e giorno e notte
Limo, cangio, e riscrivo il già riscritto;
Perch’alle mie tragedie non si annotte,
Quand’io poi muto giacerommi in tomba,
Come accader suol delle carte indòtte.
E’ ci vuol molto a far suonar la tromba
Della ciarliera che appelliam poi Fama,
Se de’ secoli a lei l’eco rimbomba.
Pur può in me tanto questa eterna brama,
Ch’io sopporto per essa anco i tormenti
Del duol che a torto morte non si chiama;
Cioè, del rivedere i mancamenti
De’ correttori e stampatori e proti,
L’un più dell’altro stolti e disattenti:
Quind’io tra punti e côme ed effi e ioti
Vo consumando i giorni e mesi ed anni,
Perch’a intender pur m’abbian gl’idïoti. —




  1. Confesserò che qui io sbagliai grossamente, stimando il mal governo e la tirannia della Francia eretta a monarchia assoluta non potessero mai accrescersi: ma non era dato forse ad uom libero e puro il prevedere e poter vedere gli effetti della oligarchia dei pessimi.