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78 vittorio alfieri


CVIII (1783).

L’arte, ch’io scelsi, è un bel mestier, per dio.
Logorarmi il cervel mattina e sera,
Per far di carta bianca carta nera;
Profonder tutto in linde stampe il mio;

Su le prove smarrire gli occhi e il brio;
Assaporar la turba menzognera,
Cartajuola, Protesca, e Torcoliera;
Poi, perch’altri mi compri, accattar io;

Appiccicarmi i masnadier libraj,
Che a credenza ricevono, e fan grazia
Nè metallo per foglio rendon mai;

Il revisor soffrir, che l’uomo strazia;
E viver sempre, in somma, in mezzo a’ guai,
Per trovar appo i leggitor disgrazia. —

Stanca in tal guisa, e sazia
Tace anzi tempo ogni laudevol brama,
In chi scrivendo merca itala fama.

CIX (1783).

Due fere donne, anzi due furie atroci,
Tor non mi posso (ahi misero!) dal fianco.
Ira è l’una, e i sanguigni suoi feroci
Serpi mi avventa ognora al lato manco;

Malinconía dall’altro, hammi con voci
Tetre offuscato l’intelletto e stanco:
Ond’io null’altro che le Stigie foci
Bramo, ed in morte sola il cor rinfranco.

Non perciò d’ira al flagellar rovente
Cieco obbedisco io mai; ma, signor d’essa,
Me sol le dono, e niun fuor ch’io la sente.

Non dell’altra così; che appien depressa
La fantasia mi tien, l’alma, e la mente...
A chi amor non conosce, insania espressa.