Pagina:Alfonso Varano - Opere scelte 1705-1788.djvu/156

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S’inchini umil l’Alma ai destin superni,
     285E la pia nel rigor mano ami e adori,
     Benché aspra sembri a noi, che ne governi.
E tu, che corta via divide fuori
     288Della terra ne’ troppi agi superba,
     Vieni, e mirala pria che negli orrori
Cada e nel danno di vendetta acerba,
     291Sì che fra sue ruine almen dir possa:
     Tal era; ora il suo nome è sabbia ed erba.
Fra questi detti a lui, che avea già mossa
     294La salma al confin noto, io dietro tenni;
     E in meditar la struggitrice scossa,
Ch’io vicina temea, muto divenni,
     297E dal mio labbro sol risposta breve
     Pel Duce mio, che men chiedeva, ottenni;
Svelando a lui qual nelle sue riceve
     300La vastissima terra atre caverne
     Zolfi, e pingui bitumi, e nitro lieve,
Fra cui piomba talor dalle superne
     303Volte spiccata selce, e un’altra batte,
     E ne risveglia le scintille interne,
Che rigogliose, e avidamente ratte
     306S’appiglian a que’ corpi; o pur le stesse
     Sulfuree masse a fermentarsi tratte
Ardori per le piriti aggiunte ad esse.
     309Cui lena dan le diradate parti
     D’aria e d’acqua in que’ chiusi antri compresse,
E come in mina fra le bellich’arti
     312La fatal polve tali addoppia l’ire,
     Ch’alza i muri, e gli svelle infranti e sparti;
Così in quell’ime avvien grotte che gire
     315Violento foco, e lo scoppiar conteso
     L’impeto accresca dell’aeree spire: