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decima 199

Che di virtù le armate Alme più sagge
     S’arreser vinte alla dogliosa immago,
     315Ch’ogni conforto al lagrimar sottragge:
Ch’altri accusò l’eterno ordin non pago
     De’ mali, cui l’uman germe soggiacque:
     318Ch’altri la vita di lasciar fu vago.
Chè benché ubbidiente a quel che piacque
     A Dio, pur presso al Genitor confuso
     321Muta Isabella e inconsolabil giacque.
Silenzio, solitudine, e diffuso
     Fremito, e pianto saran degni frutti
     324Dell’opra, onde ti lagni esser deluso.
Rialza lo stendardo, è sovra tutti
     Gli allori tuoi vantati sol che or deggia
     327Italia a te le sue sventure e i lutti.
Gl’immondi Spirti, e la crudel, che ondeggia
     Lor voce sparsa per que’ campi aperti,
     330E il portamento, che il parlar pareggia,
S’eran così terribilmente offerti
     Ai sensi miei, che mi parea, che questi
     333Fosser fra il sonno e la vigilia incerti.
Quando a fugar gli orridi obbietti e mesti
     Dal fulgido oriente uscì tal voce:
     336O tu, che dell’inferne Ombre scorgesti
Il vil trofeo, che al vantator sol nuoce,
     Mira, come gli altrui danni in trionfi
     339Provvidenza ed Amor cangia veloce.
Là dove in cerchio avvien che si rigonfi
     L’aere percosso dal novello suono,
     342Io girai gli occhi di lagrime gonfi;
E dopo udito un minaccievol tuono,
     Che l’Ombre sgominò, presso me vidi
     345Mitrato il capo un Uom che disse: Io sono