farti quello è, rifpos’io, un tempo da penfar più
tolto al Filofofo. Non dubitate, replicò ella,
ch’egli v’à certamente avuto la parte fua, e non
à di che dolcrfi di me. E* non v’à dunque, nfpos
io, gran male, fe così è. Anzi io vi conliclio
a penfarvi il più fpefio, che per voi 5 potrà,
che più il farete, e più conofcerete che il meritano
E come mai volete voi, continuo ella irridendo, che penfando io a quelle fpenenze non
ammiraffi la fagacità e l’ingegno del Filofoto,
che le à inventate, e non penfaffi ad un uomoa
cui pare, la Natura medefima avere additata ciò,
che s’avea a fare per conofcerla? Io veggo bene,
rifpos’io, che voi prendete la cofa troppo feriamente. In fimil cafo parmi che potevate ben
contentarvi dell’Efpofitore. Come prender la
cofa troppo fedamente? difs’ella. Si tratta di
credere fe il colore fia immutabile, o nò, fe i raggi
della luce fieno differentemente rifrangigli;
fi vuol ftabilire, e confutar fi Ite mi, m fomma
nulla meno fi cerca della Verità, e vi par che li
poffan prender le cofe troppo fenamente? Ma
quelli medefimi fittemi, rifpos’io, e quella mede
fima verità per quanto gravemente luonino
all’orecchio, non debbon mai i noftri più giocondi
fogni turbare. Il bell’onore in venta che
voi mi farette nel Mondo, fe fi rifapelfe, eh io
v’ò fatto fognar di prifmi, e di lenti. Di quette
cofe fi vuol fare, come fanno dell’Amore coloro,
che penfano a trarre il miglior ufo che fi può dalle
wffioni, che panni non fieno i meno favj,
Eglino non ne prendon giammai fino a fegno