Pagina:Algarotti - Il Newtonianismo per le dame, 1737.djvu/208

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196 Dialogo Quarto.

farti quello è, rifpos’io, un tempo da penfar più tolto al Filofofo. Non dubitate, replicò ella, ch’egli v’à certamente avuto la parte fua, e non à di che dolcrfi di me. E* non v’à dunque, nfpos io, gran male, fe così è. Anzi io vi conliclio a penfarvi il più fpefio, che per voi 5 potrà, che più il farete, e più conofcerete che il meritano E come mai volete voi, continuo ella irridendo, che penfando io a quelle fpenenze non ammiraffi la fagacità e l’ingegno del Filofoto, che le à inventate, e non penfaffi ad un uomoa cui pare, la Natura medefima avere additata ciò, che s’avea a fare per conofcerla? Io veggo bene, rifpos’io, che voi prendete la cofa troppo feriamente. In fimil cafo parmi che potevate ben contentarvi dell’Efpofitore. Come prender la cofa troppo fedamente? difs’ella. Si tratta di credere fe il colore fia immutabile, o nò, fe i raggi della luce fieno differentemente rifrangigli; fi vuol ftabilire, e confutar fi Ite mi, m fomma nulla meno fi cerca della Verità, e vi par che li poffan prender le cofe troppo fenamente? Ma quelli medefimi fittemi, rifpos’io, e quella mede fima verità per quanto gravemente luonino all’orecchio, non debbon mai i noftri più giocondi fogni turbare. Il bell’onore in venta che voi mi farette nel Mondo, fe fi rifapelfe, eh io v’ò fatto fognar di prifmi, e di lenti. Di quette cofe fi vuol fare, come fanno dell’Amore coloro, che penfano a trarre il miglior ufo che fi può dalle wffioni, che panni non fieno i meno favj, Eglino non ne prendon giammai fino a fegno