Pagina:Algarotti - Opere scelte 1.djvu/369

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al grado de’ più dotti linguaggi e più cari alle Muse. V’introdusse le trasposizioni, le parole composte, delle maniere in tutto nuove; si studiò di far sì che negli ardiri, nella energia, nella copia e in ciascun altro pregio si potesse agguagliare alla stessa greca; e nella lingua francese così da esso raffazzonata si mise a comporre dei saggi sull’andare di Pindaro, di Callimaco, di Teocrito, di Omero. Dove Ronsardo avrebbe forse ottenuto assai più, se avesse tentato meno; e parve accadesse a lui come a coloro che, volendo in un subito cangiare un governo a cui un popolo sia da lungo tempo avvezzo, non altro sogliono fare che maggiormente confermarlo. Infatti mentre i dotti mettevano in cielo il poeta e le poetiche sue valentie, si nauseò il popolo al sentire tutto a un tratto non solo costruzioni inaudite sino allora, ma parole del tutto strane e pedantesche; quelle per atto di esempio ond’è composto quel suo noto verso:

Ocymore, dysptome, oligocronien,

e parecchie altre, che andò incastrando, quasi peregrini gioielli, nel suo nativo linguaggio. E per verità coll’introdurvi que’ suoi tanti grecismi, se di tanto però fosse stata l’autorità sua, egli avrebbe reso la lingua francese un corpo niente meno eterogeneo e deforme, che si facessero i cortigiani di Caterina de’ Medici con que’ loro italicismi.1

  1. "Ronsard avoit trop entrepris tout-à-coup. Il avoit forcé notre langue par des inversions trop hardies et obscures. C’étoit un langage cru et informe. Il y ajoûtoit trop de mots composez, qui n’étoient point ancore introduits dans le commerce de la nation. Il parloit françois en grec, malgré les François mêmes: Il n’avoit pas tort, ce me semble, de tenter quelque nouvelle route pour enrichir notre langue, pour enhardir notre poësie et pour dénoüer notre versification naissante. Mais en fait de langue, on ne vient à bout de rien sans l’aveu des hommes, pour lesquels on parle. On ne doit jamais faire deux pas à la fois, et il faut s’arrêter dès qu’on se ne voit pas suivi de la moltitude. La singularité est dangereuse en tout. Elle ne peut être excuseé dans les choses qui ne dépendent que de l’usage". Fénelon, Lettre à l’Académie Françoise, art. V.