Pagina:Alighieri, Dante – La Divina Commedia, 1933 – BEIC 1730903.djvu/229

Da Wikisource.

purgatorio - canto xvi 223

     Cosí per una voce detto fue;
onde ’l maestro mio disse: «Rispondi,
30e domanda se quinci si va sue».
     E io: «O creatura che ti mondi
per tornar bella a colui che ti fece,
33maraviglia udirai, se mi secondi».
     «Io ti seguiterò quanto mi lece,»
rispose «e se veder fummo non lascia,
36l’udir ci terrá giunti in quella vece».
     Allora incominciai: «Con quella fascia
che la morte dissolve men vo suso,
39e venni qui per l’infernale ambascia;
     e se Dio m’ha in sua grazia rinchiuso,
tanto che vuol ch’i’ veggia la sua corte
42per modo tutto fuor del moderno uso,
     non mi celar chi fosti anzi la morte,
ma dilmi, e dimmi s’i’ vo bene al varco;
45e tue parole fien le nostre scorte».
     «Lombardo fui, e fu’ chiamato Marco:
del mondo seppi, e quel valore amai
48al quale ha or ciascun disteso l’arco.
     Per montar su dirittamente vai».
Cosí rispose, e soggiunse: «I’ ti prego
51che per me prieghi quando su sarai».
     E io a lui: «Per fede mi ti lego
di far ciò che mi chiedi; ma io scoppio
54dentro ad un dubbio, s’io non me ne spiego:
     prima era scempio, e ora è fatto doppio
ne la sentenza tua, che mi fa certo,
57qui e altrove, quello ov’io l’accoppio.
     Lo mondo è ben cosí tutto diserto
d’ogni virtute, come tu mi suone,
60e di malizia gravido e coverto;
     ma priego che m’addite la cagione,
sí ch’i’ la veggia e ch’i’ la mostri altrui;
63ché nel cielo uno, e un qua giú la pone».