Pagina:Alighieri, Dante – La Divina Commedia, 1933 – BEIC 1730903.djvu/101

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inferno - canto xxii 95

     ma stieno i Malebranche un poco in cesso,
sí ch’ei non teman de le lor vendette;
102e io, seggendo in questo luogo stesso,
     per un ch’io son, ne farò venir sette
quand’io suffolerò, com’è nostro uso
105di fare allor che fuori alcun si mette».
     Cagnazzo a cotal motto levò ’l muso,
crollando il capo, e disse: «Odi malizia
108ch’elli ha pensata per gittarsi giuso!»
     Ond’ei, ch’avea lacciuoli a gran divizia,
rispose: «Malizioso son io troppo,
111quand’io procuro a’ miei maggior tristizia».
     Alichin non si tenne, e, di rintoppo
a li altri, disse a lui: «Se tu ti cali,
114io non ti verrò dietro di galoppo,
     ma batterò sovra la pece l’ali:
lascisi ’l collo, e sia la ripa scudo,
117a veder se tu sol piú di noi vali».
     O tu che leggi, udirai nuovo ludo:
ciascun da l’altra costa li occhi volse,
120quel prima, ch’a ciò fare era piú crudo.
     Lo Navarrese ben suo tempo colse;
fermò le piante a terra, e in un punto
123saltò e dal proposto lor si sciolse.
     Di che ciascun di colpa fu compunto,
ma quei piú che cagion fu del difetto;
126però si mosse e gridò: «Tu se’ giunto!»
     Ma poco i valse, ché l’ali al sospetto
non potero avanzar: quelli andò sotto,
129e quei drizzò volando suso il petto:
     non altrimenti l’anitra di botto,
quando ’l falcon s’appressa, giú s’attuffa,
132ed ei ritorna su crucciato e rotto.
     Irato Calcabrina de la buffa,
volando dietro li tenne, invaghito
135che quei campasse per aver la zuffa;