Pagina:Alighieri, Dante – La Divina Commedia, 1933 – BEIC 1730903.djvu/104

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98 la divina commedia

     Pur mo veníeno i tuo’ pensier tra’ miei,
con simile atto e con simile faccia,
30sí che d’intrambi un sol consiglio fei.
     S’elli è che sí la destra costa giaccia,
che noi possiam ne l’altra bolgia scendere,
33noi fuggirem l’imaginata caccia».
     Giá non compié di tal consiglio rendere,
ch’io li vidi venir con l’ali tese
36non molto lungi, per volerne prendere.
     Lo duca mio di subito mi prese,
come la madre ch’al romore è desta
39e vede presso a sé le fiamme accese,
     che prende il figlio e fugge e non s’arresta,
avendo piú di lui che di sé cura,
42tanto che solo una camicia vesta;
     e giú dal collo de la ripa dura
supin si diede a la pendente roccia,
45che l’un de’ lati a l’altra bolgia tura.
     Non corse mai sí tosto acqua per doccia
a volger ruota di molin terragno,
48quand’ella piú verso le pale approccia,
     come ’l maestro mio per quel vivagno,
portandosene me sovra ’l suo petto,
51come suo figlio, non come compagno.
     A pena fuoro i piè suoi giunti al letto
del fondo giú, ch’e’ furono in sul colle
54sovresso noi; ma non li era sospetto;
     ché l’alta provedenza che lor volle
porre ministri de la fossa quinta,
57poder di partirs’indi a tutti tolle.
     Lá giú trovammo una gente dipinta
che giva intorno assai con lenti passi,
60piangendo, e nel sembiante stanca e vinta.
     Elli avean cappe con cappucci bassi
dinanzi a li occhi, fatte de la taglia
63che in Clugni per li monaci fassi.