Pagina:Alighieri, Dante – La Divina Commedia, 1933 – BEIC 1730903.djvu/169

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CANTO III

     Avvegna che la subitana fuga
dispergesse color per la campagna,
3rivolti al monte ove ragion ne fruga,
     i’ mi ristrinsi a la fida compagna:
e come sare’ io senza lui corso?
6chi m’avria tratto su per la montagna?
     El mi parea da se stesso rimorso:
o dignitosa coscienza e netta,
9come t’è picciol fallo amaro morso!
     Quando li piedi suoi lasciar la fretta,
che l’onestade ad ogni atto dismaga,
12la mente mia, che prima era ristretta,
     lo ’ntento rallargò, sí come vaga,
e diedi ’l viso mio incontro al poggio
15che ’nverso il ciel piú alto si dislaga.
     Lo sol, che dietro fiammeggiava roggio,
rotto m’era dinanzi, a la figura
18ch’avea in me de’ suoi raggi l’appoggio.
     Io mi volsi da lato con paura
d’essere abbandonato, quand’io vidi
21solo dinanzi a me la terra oscura;
     e ’l mio conforto «Perché pur diffidi?»
a dir mi cominciò tutto rivolto:
24«non credi tu me teco e ch’io ti guidi?
     Vespero è giá colá dov’è sepolto
lo corpo dentro al quale io facea ombra:
27Napoli l’ha, e da Brandizio è tolto.