Pagina:Alighieri, Dante – La Divina Commedia, 1933 – BEIC 1730903.djvu/172

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166 la divina commedia

     Cosí ’l maestro; e quella gente degna
«Tornate,» disse «intrate innanzi dunque»,
102coi dossi de le man facendo insegna.
     E un di loro incominciò: «Chiunque
tu se’, cosí andando volgi il viso:
105pon mente se di lá mi vedesti unque».
     Io mi volsi ver lui e guardail fiso:
biondo era e bello e di gentile aspetto,
108ma l’un de’ cigli un colpo avea diviso.
     Quand’i’ mi fui umilmente disdetto
d’averlo visto mai, el disse: «Or vedi»;
111e mostrommi una piaga a sommo ’l petto.
     Poi sorridendo disse: «Io son Manfredi
nepote di Costanza imperadrice;
114ond’io ti prego che quando tu riedi,
     vadi a mia bella figlia, genitrice
de l’onor di Cicilia e d’Aragona,
117e dichi il vero a lei, s’altro si dice.
     Poscia ch’io ebbi rotta la persona
di due punte mortali, io mi rendei,
120piangendo, a quei che volentier perdona.
     Orribil furon li peccati miei;
ma la bontá infinita ha sí gran braccia,
123che prende ciò che si rivolge a lei.
     Se ’l pastor di Cosenza, che a la caccia
di me fu messo per Clemente, allora
126avesse in Dio ben letta questa faccia,
     l’ossa del corpo mio saríeno ancora
in co del ponte presso a Benevento,
129sotto la guardia de la grave mora.
     Or le bagna la pioggia e move il vento
di fuor dal regno, quasi lungo il Verde,
132dov’ei le trasmutò a lume spento.
     Per lor maladizion sí non si perde,
che non possa tornar, l’eterno amore,
135mentre che la speranza ha fior del verde.