Pagina:Alighieri, Dante – La Divina Commedia, 1933 – BEIC 1730903.djvu/20

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14 la divina commedia

     Questi sciaurati, che mai non fur vivi,
erano ignudi, stimolati molto
66da mosconi e da vespe ch’eran ivi.
     Elle rigavan lor di sangue il volto,
che, mischiato di lagrime, ai lor piedi
69da fastidiosi vermi era ricolto.
     E poi ch’a riguardar oltre mi diedi,
vidi gente a la riva d’un gran fiume;
72per ch’io dissi: «Maestro, or mi concedi
     ch’i’ sappia quali sono, e qual costume
le fa di trapassar parer sí pronte,
75com’io discerno per lo fioco lume».
     Ed elli a me: «Le cose ti fier conte,
quando noi fermerem li nostri passi
78su la trista riviera d’Acheronte».
     Allor con li occhi vergognosi e bassi,
temendo no ’l mio dir li fosse grave,
81infino al fiume del parlar mi trassi.
     Ed ecco verso noi venir per nave
un vecchio, bianco per antico pelo,
84gridando: «Guai a voi, anime prave!
     non isperate mai veder lo cielo:
i’ vegno per menarvi a l’altra riva
87ne le tenebre eterne, in caldo e ’n gelo.
     E tu che se’ costí, anima viva,
pártiti da cotesti che son morti».
90Ma poi che vide ch’io non mi partiva,
     disse: «Per altra via, per altri porti
verrai a piaggia, non qui, per passare:
93piú lieve legno convien che ti porti».
     E ’l duca a lui: «Caron, non ti crucciare:
vuolsi cosí colá dove si puote
96ciò che si vuole, e piú non dimandare».
     Quinci fur quete le lanose gote
al nocchier de la livida palude,
99che ’ntorno a li occhi avea di fiamme rote.