Pagina:Alighieri, Dante – La Divina Commedia, 1933 – BEIC 1730903.djvu/23

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inferno - canto iv 17

     Ciò avvenia di duol senza martíri
ch’avean le turbe, ch’eran molte e grandi,
30e d’infanti e di femmine e di viri.
     Lo buon maestro a me: «Tu non dimandi
che spiriti son questi che tu vedi?
33Or vo’ che sappi, innanzi che piú andi,
     ch’ei non peccaro; e s’elli hanno mercedi,
non basta, perché non ebber battesmo,
36ch’è porta de la fede che tu credi;
     e se furon dinanzi al cristianesmo,
non adorar debitamente a Dio:
39e di questi cotai son io medesmo.
     Per tai difetti, non per altro rio,
semo perduti, e sol di tanto offesi
42che, senza speme, vivemo in disio».
     Gran duol mi prese al cor quando lo ’ntesi,
però che gente di molto valore
45conobbi che ’n quel limbo eran sospesi.
     «Dimmi, maestro mio, dimmi, signore,»
comincia’ io per voler esser certo
48di quella fede che vince ogni errore:
     «uscicci mai alcuno, o per suo merto
o per altrui, che poi fosse beato?»
51E quei, che ’ntese il mio parlar coperto,
     rispose: «Io era nuovo in questo stato,
quando ci vidi venire un possente,
54con segno di vittoria coronato.
     Trasseci l’ombra del primo parente,
d’Abel suo figlio e quella di Noè,
57di Moisè legista e obediente;
     Abraám patriarca e David re,
Israèl con lo padre e co’ suoi nati
60e con Rachele, per cui tanto fe’;
     e altri molti, e feceli beati:
e vo’ che sappi che, dinanzi ad essi,
63spiriti umani non eran salvati».