Pagina:Alighieri, Dante – La Divina Commedia, 1933 – BEIC 1730903.djvu/235

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purgatorio - canto xvii 229

     senti’mi presso quasi un mover d’ala
e ventarmi nel viso e dir ‛ Beati
69pacifici, che son senz’ira mala! ’
     Giá eran sovra noi tanto levati
li ultimi raggi che la notte segue,
72che le stelle apparivan da piú lati.
     «O virtú mia, perché sí ti dilegue?»
fra me stesso dicea, ché mi sentiva
75la possa de le gambe posta in tregue.
     Noi eravam dove piú non saliva
la scala su, ed eravamo affissi
78pur come nave ch’a la piaggia arriva;
     ed io attesi un poco, s’io udissi
alcuna cosa nel novo girone;
81poi mi volsi al maestro mio, e dissi:
     «Dolce mio padre, dí, quale offensione
si purga qui nel giro dove semo?
84Se i piè si stanno, non stea tuo sermone».
     Ed elli a me: «L’amor del bene scemo
del suo dover quiritta si ristora;
87qui si ribatte il mal tardato remo.
     Ma perché piú aperto intendi ancora,
volgi la mente a me, e prenderai
90alcun buon frutto di nostra dimora».
     «Né creator né creatura mai,»
cominciò el «figliuol, fu senza amore,
93o naturale o d’animo; e tu ’l sai.
     Lo naturale è sempre senza errore,
ma l’altro puote errar per malo obietto,
96o per troppo o per poco di vigore.
     Mentre ch’elli è nel primo ben diretto,
e ne’ secondi se stesso misura,
99esser non può cagion di mal diletto;
     ma quando al mal si torce, o con piú cura
o con men che non dée corre nel bene,
102contra ’l fattore adovra sua fattura.