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290 la divina commedia

     vidi la donna che pria m’apparío
velata sotto l’angelica festa,
66drizzar li occhi ver me di qua dal rio.
     Tutto che ’l vel che le scendea di testa,
cerchiato de le fronde di Minerva,
69non la lasciasse parer manifesta,
     regalmente ne l’atto ancor proterva
continuò, come colui che dice
72e ’l piú caldo parlar dietro reserva:
     «Guardaci ben! Ben son, ben son Beatrice.
Come degnasti d’accedere al monte?
75non sapei tu che qui è l’uom felice?»
     Li occhi mi cadder giú nel chiaro fonte;
ma veggendomi in esso, i trassi a l’erba,
78tanta vergogna mi gravò la fronte.
     Cosí la madre al figlio par superba,
com’ella parve a me; perché d’amaro
81sente ’l sapor de la pietade acerba.
     Ella si tacque; e li angeli cantaro
di subito ‛ In te, Domine, speravi ’;
84ma oltre ‛ pedes meos ’ non passaro.
     Sí come neve tra le vive travi
per lo dosso d’Italia si congela,
87soffiata e stretta da li venti schiavi,
     poi, liquefatta, in se stessa trapela,
pur che la terra che perde ombra spiri,
90sí che par foco fonder la candela;
     cosí fui senza lacrime e sospiri
anzi ’l cantar di quei che notan sempre
93dietro a le note de li eterni giri;
     ma poi ch’i’ ’ntesi ne le dolci tempre
lor compatire a me, piú che se detto
96avesser ‛ Donna, perché sí lo stempre? ’
     lo gel che m’era intorno al cor ristretto,
spirito e acqua fessi, e con angoscia
99de la bocca e de li occhi uscí del petto.