Pagina:Alighieri, Dante – La Divina Commedia, 1933 – BEIC 1730903.djvu/41

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inferno - canto viii 35

     Tosto che ’l duca e io nel legno fui,
secando se ne va l’antica prora
30de l’acqua più che non suol con altrui.
     Mentre noi correvam la morta gora,
dinanzi mi si fece un pien di fango,
33e disse: «Chi se’ tu che vieni anzi ora?»
     E io a lui: «S’i’ vegno, non rimango:
ma tu chi se’, che sí se’ fatto brutto?»
36Rispose: «Vedi che son un che piango».
     E io a lui: «Con piangere e con lutto,
spirito maladetto, ti rimani;
39ch’io ti conosco, ancor sie lordo tutto».
     Allora stese al legno ambo le mani;
per che ’l maestro accorto lo sospinse,
42dicendo: «Via costá con li altri cani!»
     Lo collo poi con le braccia mi cinse;
baciommi il volto, e disse: «Alma sdegnosa,
45benedetta colei che in te s’incinse!
     Quei fu al mondo persona orgogliosa;
bontá non è che sua memoria fregi:
48cosí s’è l’ombra sua qui furiosa.
     Quanti si tengon or lá su gran regi
che qui staranno come porci in brago,
51di sé lasciando orribili dispregi!»
     E io: «Maestro, molto sarei vago
di vederlo attuffare in questa broda
54prima che noi uscissimo del lago».
     Ed elli a me: «Avante che la proda
ti si lasci veder, tu sarai sazio:
57di tal disio convien che tu goda».
     Dopo ciò poco, vid’io quello strazio
far di costui a le fangose genti,
60che Dio ancor ne lodo e ne ringrazio.
     Tutti gridavano: «A Filippo Argenti!»
e ’l fiorentino spirito bizzarro
63in se medesmo si volvea co’ denti.