Pagina:Alighieri, Dante – La Divina Commedia, 1933 – BEIC 1730903.djvu/438

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432 la divina commedia

     e similmente l’anima primaia
mi facea trasparer per la coverta
102quant’ella a compiacermi venía gaia.
     Indi spirò: «Senz’essermi proferta
da te, la voglia tua discerno meglio
105che tu qualunque cosa t’è piú certa;
     perch’io la veggio nel verace speglio
che fa di sé pareglio a l’altre cose,
108e nulla face lui di sé pareglio.
     Tu vuoli udir quant’è che Dio mi pose
ne l’eccelso giardino ove costei
111a cosí lunga scala ti dispose,
     e quanto fu diletto a li occhi miei,
e la propria cagion del gran disdegno,
114e l’idioma ch’usai e ch’io fei.
     Or, figliuol mio, non il gustar del legno
fu per sé la cagion di tanto esilio,
117ma solamente il trapassar del segno.
     Quindi onde mosse tua donna Virgilio,
quattromilia trecento e due volumi
120di sol desiderai questo concilio;
     e vidi lui tornare a tutt’i lumi
de la sua strada novecento trenta
123fiate, mentre ch’io in terra fu’mi.
     La lingua ch’io parlai fu tutta spenta
innanzi che a l’ovra inconsummabile
126fosse la gente di Nembròt attenta;
     ché nullo effetto mai razionabile,
per lo piacere uman che rinnovella
129seguendo il cielo, sempre fu durabile.
     Opera naturale è ch’uom favella;
ma cosí o cosí, natura lascia
132poi fare a voi, secondo che v’abbella.
     Pria ch’i’ scendessi a l’infernale ambascia,
I s’appellava in terra il sommo bene
135onde vien la letizia che mi fascia;