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440 la divina commedia

     Sopra seguiva il settimo, sí sparto
giá di larghezza, che ’l messo di Iuno
33intero a contenerlo sarebbe arto.
     Cosí l’ottavo e ’l nono. E ciascheduno
piú tardo si movea, secondo ch’era
36in numero distante piú da l’uno;
     e quello avea la fiamma piú sincera
cui men distava la favilla pura,
39credo, però che piú di lei s’invera.
     La donna mia, che mi vedea in cura
forte sospeso, disse: «Da quel punto
42depende il cielo e tutta la natura!
     Mira quel cerchio che piú li è congiunto;
e sappi che ’l suo muovere è sí tosto
45per l’affocato amore ond’elli è punto».
     E io a lei: «Se ’l mondo fosse posto
con l’ordine ch’io veggio in quelle rote,
48sazio m’avrebbe ciò che m’è proposto;
     ma nel mondo sensibile si puote
veder le volte tanto piú divine,
51quant’elle son dal centro piú remote:
     onde, se ’l mio disio dée aver fine
in questo miro e angelico templo
54che solo amore e luce ha per confine,
     udir convienmi ancor come l’esemplo
e l’esemplare non vanno d’un modo,
57ché io per me indarno a ciò contemplo».
     «Se li tuoi diti non sono a tal nodo
sufficienti, non è maraviglia;
60tanto, per non tentare, è fatto sodo!»
     Cosí la donna mia; poi disse: «Piglia
quel ch’io ti dicerò, se vuo’ saziarti,
63ed intorno da esso t’assottiglia.
     Li cerchi corporai sono ampi e arti
secondo il piú e ’l men de la virtute
66che si distende per tutte lor parti: