Pagina:Alighieri, Dante – La Divina Commedia, 1933 – BEIC 1730903.djvu/73

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inferno - canto xv 67

     Né per tanto di men parlando vommi
con ser Brunetto, e dimando chi sono
102li suoi compagni piú noti e piú sommi.
     Ed elli a me: «Saper d’alcuno è buono;
de li altri fia laudabile tacerci,
105ché ’l tempo saría corto a tanto suono.
     In somma sappi che tutti fur cherci
e litterati grandi e di gran fama,
108d’un peccato medesmo al mondo lerci.
     Priscian sen va con quella turba grama,
e Francesco d’Accorso; anche vedervi,
111s’avessi avuto di tal tigna brama,
     colui potei che dal servo de’ servi
fu trasmutato d’Arno in Bacchiglione,
114dove lasciò li mal protesi nervi.
     Di piú direi, ma ’l venire e ’l sermone
piú lungo esser non può, però ch’i’ veggio
117lá surger novo fummo del sabbione:
     gente vien con la quale esser non deggio.
Sieti raccomandato il mio Tesoro,
120nel qual io vivo ancora, e piú non cheggio».
     Poi si rivolse, e parve di coloro
che corrono a Verona il drappo verde
123per la campagna; e parve di costoro
     quelli che vince, non colui che perde.