Pagina:Alighieri, Dante – La Divina Commedia, 1933 – BEIC 1730903.djvu/99

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inferno - canto xxii 93

     sí stavan d’ogni parte i peccatori;
ma come s’appressava Barbariccia,
30cosí si ritraén sotto i bollori.
     Io vidi, e anco il cor me n’accapriccia,
uno aspettar cosí, com’elli ’ncontra
33ch’una rana rimane e altra spiccia;
     e Graffiacan, che li era piú di contra,
li arruncigliò le ’mpegolate chiome
36e trassel su, che mi parve una lontra.
     I’ sapea giá di tutti quanti il nome,
sí li notai quando furono eletti,
39e poi ch’e’ si chiamaro, attesi come.
     «O Rubicante, fa che tu li metti
li unghioni a dosso, sí che tu lo scuoi!»
42gridavan tutti insieme i maladetti.
     E io: «Maestro mio, fa, se tu puoi,
che tu sappi chi è lo sciagurato
45venuto a man de li avversari suoi».
     Lo duca mio li s’accostò a lato,
domandollo ond’ei fosse, ed ei rispose:
48«I’ fui del regno di Navarra nato.
     Mia madre a servo d’un signor mi pose,
che m’avea generato d’un ribaldo,
51distruggitor di sé e di sue cose.
     Poi fui famiglia del buon re Tebaldo:
quivi mi misi a far baratteria,
54di ch’io rendo ragione in questo caldo».
     E Ciriatto, a cui di bocca uscía
d’ogni parte una sanna come a porco,
57li fe’ sentir come l’una sdrucía.
     Tra male gatte era venuto il sorco;
ma Barbariccia il chiuse con le braccia,
60e disse: «State in lá, mentr’io lo ’nforco».
     E al maestro mio volse la faccia:
«Domanda» disse «ancor, se piú disii
63saper da lui, prima ch’altri ’l disfaccia».