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INTORNO AL VOLGARE ILLUSTRE. 195


era comune in qualche parte a quell’eta informata di scienze divine, e tutta nutrita delle memorie di quella Roma, dov’era la cima di ogni terrena grandezza. Quivi anche vedevano gli esempj di quella perfezione dello Stile, al quale cercavano allora di rinnalzarsi gli Scrittori, non bene sapendo, nè forse volendo, la nuova forma dell’idioma separare dall’antica, chè sarebbe stato dannarsi a una sorta d’inferiorità. Avevano essi già una Lingua loro, ma non sapevano che ci fosse, o non volevano, sebbene lo stesso Dante scriva che il Volgare cercato da lui andava peregrinando e albergando negli umili asili. In quell’immaturo levarsi che fecero allora i Popoli, il risorgimento ch’era nel pensiero e nella espressione pura di esso, non rinveniva sufficiente rispondenza a sè nella vita, non aveva nutrimento di scienza bastante, guardava le cose come fa la fantasia, nè quelle poteva con giusta misura a sè medesimo definire. Quindi è che Dante, scrivendo in Volgare, cercasse il Latino, perchè era la Lingua della Religione e della Scuola e delle altezze a lui note del Bello poetico, Lingua imperiaie e pontificale; nè l’uomo che scrisse il libro «De Monarchia» potea pensarlo altro che in Latino. Ed egli sempre molto latineggiava, e più del dovere, nella Prosa; la terza Cantica del Poema, la quale voleva non fosse Commedia, mesce più dell’altre alle Volgari frequenza di voci Latine, che niuna perfezione di concetto nè convenienza di poesia sembra alle volte giustificare. È l’Alighieri certamente il sommo tra gli Scrittori di nostra Lingua, perchè fu il sommo tra quanti avesse ingegni mai la nostra Gente; ma quella Lingua che noi dobbiamo tanto ammirare e dalla quale tanto è da apprendere, non possiamo tutta accettare nè fare nostra. Contendeva egli per isforzare la Lingua, siccome con la prepotenza del volere sforzava il concetto a condensarsi in quelle ultime profondità, dove riposasse il forte ingegno del pensatore, congiunto alla viva immaginazione del poeta. Imperocchè Dante fu sempre poeta, dove anche tu vegga in lui farsi innanzi il disputante nella Sorbona; poeta dove egli, per la coscienza della nobiltà sua, troppo ami scostarsi dall’uso comune; ma sembra allora che egli si piaccia di fare violenza alla stessa