Pagina:Alle porte d'Italia.djvu/285

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la marchesa di spigno 271

di bambino, quei balocchi sparsi, quei carcerieri, quei frati, quell’aria di morte che spirava da ogni parte.... Nemmeno il conforto di vegliare il suo cadavere mi fu concesso. Appena spirò, fui strappata dal suo letto. Ero pure la sua vedova, l’avevo pure assistito per due anni, me l’ero guadagnato il diritto di restare accanto al suo letto di morte! No.... io profanavo quella camera, ero un’intrusa. Dovevo andar fuori, a piangere. Fui spinta fuori. Mi voltai ancora una volta a dare l’ultimo addio a quel povero corpo.... Poi mi parve di ritrovarmi sola in mezzo a un immenso deserto oscuro, oppressa da una stanchezza infinita.... Ma non mi lasciaron riposare lungo tempo, no.... L’ordine del re non si fece attendere.... Oh! quella tomba aperta non aveva disposto alcuno alla pietà.... Alla prima parola compresi e caddi in ginocchio.... Era il chiostro per la vita.

— Fu meraviglioso, veramente, un miracolo del Signore, — continuava la superiora a bassa voce, — che ella abbia fatto un così grande cambiamento di stato e di vita, senza dar segno di soffrire, o di fare un sacrifizio. Qui si aspettavano tutti che sarebbe stata per molto tempo inquieta e triste, che avrebbe dovuto per molto tempo lottare e pregare prima di ottenere la pace dell’anima, dopo tanti grandi casi e infortuni che la conducevano dalla reggia in un monastero. E così non fu. Essa venne qui come già preparata in cuor suo alla nuova vita, e si mostrò fin dai primi giorni rassegnata e tranquilla....

— Quelli che parlaron di rassegnazione, allora! —