Pagina:Alle porte d'Italia.djvu/38

Da Wikisource.
24 alle porte d’italia

guali d’altezza. L’unica cosa che si riconosca d’antico, a primo aspetto, è nel corpo più basso: uno stretto porticato a tre archi schiacciati, il quale sostiene una loggetta, sul cui parapetto s’alzano delle colonnine leggere che sorreggono un tetto a larga gronda, congiunte fra loro da grandi persiane claustrali. Ma chi può dire quale fosse la forma e l’ampiezza del palazzo nel secolo decimoquarto? Per quanto si sappia che vivevano pigiati, ed anco ammesso che facesse parte del palazzo un piccolo edifizio che gli si alza accanto, le cui finestre conservano il disegno e le incorniciature del tempo, è difficile credere che tutta la famiglia dei Principi, e gli ufficiali, e i servi, e gli ospiti principeschi che eran frequenti, vi capissero. Non vi si potevan rigirare. Un’angusta stanza sotterranea che si apre sulla strada e che pare fosse una scuderia, non conteneva certo tutti i cavalli della corte. Ci dovevano essere intorno altri edifizi. Un grosso muro scalcinato che sorge da un lato d’un cortiluccio esterno, dove rimane ancora un antico pozzo da streghe, era forse il muro maestro d’un annesso considerevole del palazzo. Comunque sia, ciò che resta dà l’immagine d’un edifizio meschino, incomodo, troppo stretto per la sua altezza, un che di mezzo tra il monastero, la carcere e una casa da appigionare non terminata. Ma come! vien fatto di dire entrando: di qui fu governato per cent’anni il Piemonte? qui si ricevettero i legati del Pontefice e gli ambasciatori dell’Impero? Qui si ospitò la sposa di Andronico Paleologo, imperatore d’Oriente? Oh! tristissima delusione!