Pagina:Alle porte d'Italia.djvu/416

Da Wikisource.
402 alle porte d'italia

lo abbandona. E allora tutta l’enorme catena bruna si intaglia violentemente nel cielo, e lo squarcia e lo morde coi suoi mille archi acuti e con le sue mille piramidi, disegnando nel fuoco una delle più belle e più formidabili immagini di grandezza che sian mai balenate alla mente umana.



A quell’ora i contadini tornan dal lavoro e i ragazzi e le vaccaie dai pascoli. Da tutte le parti mi arrivan dei canti all’orecchio; quei canti dei contadini piemontesi, così strani e tristi, cantati a voce altissima, e strascicati con un lungo sforzo, come per farsi sentire a grandissime distanze, e rotti da certi trilli gutturali, fiorettati di certi vezzi, direi quasi, violenti, che fan soffermare per la viottola il cittadino che passa, offeso nell’orecchio, e pure curioso di risentirli. Alcune voci mi suonano vicine, delle voci femminili, piene e poderose, che mi fanno immaginare delle grandi ragazze con la bocca squarciata e col seno ansante; altre più vicine, di cui distinguo le parole, una voce tremula, una canzone patetica, che comincia l’America è grande l’Italia è piccolina, e dice d’un mazzetto di fiori che sarà portato a traverso all’Oceano; altre, lontanissime, delle voci lunghe e dolenti, simili alle cantilene dei marinai e alle grida degli spazzacamini, le quali s’avvicinano, si allontanano, muoiono, e poi tornano a suonar più lontano; e pare che tutte quelle