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grado a grado, si rabbonisce, abbassa le braccia e la voce, si lascia quasi persuadere, s’acqueta a certe condizioni, facendo ancora dei segni di dubbio, con un mormorio leggero di malcontento, per non parer troppo facile a contentarsi. Quand’ecco, giunge un telegramma che smentisce tutto.... e allora scoppia formidabilmente, per non più placarsi nè interrompersi, la rivoluzione sociale.



Allora, solo sul terrazzo, nell’oscurità che sale, flagellato dal vento, come sul cassero d’un naviglio, mi godo tutto quel fragore d’uragano, pieno di grida, di sibili, di gemiti, di parole dolorose, che mi suonano all’orecchio come susurrate da spettri invisibili che mi passino accanto di volo. Il fragore viene a ondate: sono urrà di Eugenio di Savoia che si slancia all’assalto di Santa Brigida, urli dei prigionieri del Saint-Mars flagellati, pianti dei fanciulli astigiani sepolti nella torre degli Acaja, rantoli di cavorresi sgozzati sulla rocca; e poi, dopo un breve mormorio sordo e come compresso, ecco, la marchesa di Spigno scoppia in singhiozzi, i Valdesi cantano i salmi della vittoria sulle vette d’Angrogna, i cannoni della Varaita tuonano, gli emigranti mandano l’ultimo addio alla patria, trentamila grida di gioia salutano il vincitore di San Quintino; tutto il passato si ridesta e mi parla; tutti quei benedetti dolori, tutte quelle sante gioie, tutta quella grande storia di sangue,